Buongiorno a tutti!
Mi presento: sono Matteo Vitali, ho 24 anni e abito a Sant’Angelo Lodigiano- in provincia di Lodi. Sono uno studente di giurisprudenza, iscritto all’Università degli Studi di Pavia da settembre 2016. Nell’Anno Accademico 2020-2021, ho inserito nel mio piano di studi un insegnamento particolare e ancora nascente in molte università italiane: la Clinica Legale (in particolare, Clinica Legale in Diritti Umani e Inclusione Sociale).
Di che cosa si tratta? Prima di qualsiasi definizione da manuale, è un’esperienza formativa ma anche piena di concretezza. Spesso, parlando di molti corsi di laurea, si cade nell’errore di minimizzarli considerandoli esclusivamente finalizzati al ricordare più concetti possibili e definizioni a memoria per riuscire a superare “brillantemente” l’esame della sessione. Purtroppo questo è un pessimo metodo di apprendimento, perché la mente ha tutte le sue regole e se non si comprende quello che si va a memorizzare piano piano tutto svanisce e a nulla lo studio è servito. E ora arrivo al tema centrale: tutto ciò che è la parte più negativa dell’università e di certi metodi (sia di insegnamento che di apprendimento), non è propria della Clinica Legale.
Questa esperienza ha un contenuto duplice: da un lato passivo-formativo (lezioni, seminari su determinati focus dedicati al diritto, date dal docente universitario- a Pavia, la prof.ssa Giuditta Matucci- che ringrazio- tiene una delle tre cliniche nascenti, quella sui Diritti fondamentali e inclusione sociale. Quest’ultima si propone di creare un percorso di approfondimento di taglio teorico-pratico sulle complesse questioni connesse alla tutela dei cosiddetti “soggetti deboli”, con particolare attenzione ai minori d’età, alle persone con disabilità e alle persone LGBTI+) e dall’altro attivo-concreto (tirocinio formativo della durata di 75 ore da svolgere presso associazioni deputate a garantire i diritti dei minori d’età, delle persone con disabilità e delle persone LGBTI+, sotto la guida di uno o più tutors).
Due sono state le associazioni da me scelte nell’Anno Accademico: Una mano per… di Voghera (tutors: Avv. Giuseppe Mellace, Cinzia Cullacciati e Margerita Pizzorno) e Save the Children di Milano (tutor: Avv. Marina Ingrascì). La prima nasce per tutelare i diritti di inclusione scolastica e sociale dei bambini e ragazzi con disabilità, mentre la seconda per la tutela dei diritti dei minori stranieri. Vorrei consigliare questa esperienza ai miei coetanei? Sicuramente sì, per moltissime ragioni. Mi limiterò a dirne una. Spesso nel nostro corso non ci si rende conto di una cosa fondamentale per il giurista, qualsiasi professione egli scelga post-laurea: dietro, anzi, davanti al diritto ci stanno le persone. E sono soggetti che valgono, e devono poter disporre di tutti i diritti che sono propriamente loro. Che sono propriamente nostri.
Farei ora un focus di interesse sul tirocinio Una Mano per… di Voghera. Ringrazio coloro che mi hanno “accompagnato” e mi hanno fatto entrare nel mondo della scuola e delle persone con disabilità: Cinzia Cullacciati, Margherita Pizzorno e l’Avv. Giuseppe Mellace, che con pazienza e grinta mi hanno fatto sentire in famiglia (come l’associazione Una mano per… si propone di fare e fa concretamente). Bisogna fare ancora molta strada dal punto di vista operativo, ci sono tante situazioni e persone che si trovano a non vedersi riconosciuti diritti fondamentali come l’istruzione, la cura e l’assistenza, la vita indipendente e la felicità.
È un concetto difficile da definire quello di “diritto alla felicità”, che si ritrova nella Dichiarazione di Indipendenza americana del 4 luglio 1776: “A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla felicità”. Nell’art. 3 della nostra Costituzione si coglie un accenno implicito del diritto alla felicità intesa come “pieno sviluppo della persona umana”. Ma come raggiungerla questa felicità? Come aiutare le famiglia in un sistema che sembra averle lasciate sole? Penso che la parte più difficile per le persone è essere lasciate a se stesse, senza aiuto, senza stelle polari, ancore o porti sicuri. Questa è una grave mancanza, anzi, è proprio un’ingiustizia.
Questa associazione è nata grazie alla volontà di genitori che sono stati lasciati soli e che, invece che lasciarsi schiacciare dalle difficoltà che lo Stato e il sistema (che sotto questo punto di vista non funziona per niente) gli hanno dato, hanno saputo reagire. La forza di queste persone che ho conosciuto è degna di nota, il loro impegno ancora di più. Impegno per un fine più alto: i diritti, la vita serena di ragazzi e ragazze e l’attenzione verso famiglie, come lo sono state loro. La metafora della fenice è calzante: sono persone rinate dalle loro ceneri, dalla loro solitudine data da un sistema che fa fatica a vedere ognuno. O che fa finta di non vedere qualcuno. Chiudo questo mio breve intervento con due righe di presentazione fatte sul sito di Una mano per… di una persona forte, di una fenice: Cinzia Cullacciati- “Io sono Cinzia, 40 anni, Architetto, ero direttore tecnico di cantiere. Da quando è nata Bea, lei è diventata la mia piccola ma complicata opera pubblica”.
Grazie di avermi letto. Abbraccio ognuno di voi, a presto.
Vitali Matteo
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